SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

Sentenza 14 agosto 2007, n. 17694

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 25 ottobre 1994 B.R.M. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, il Condominio di via …omissis… assumendo che, in violazione del regolamento condominiale, i contenitori della spazzatura dello stabile erano stati ubicati in un cortile interno nel quale venivano anche abusivamente parcheggiati motorini e biciclette, proprio in corrispondenza di finestre della propria unità immobiliare. Chiedeva pertanto che, previo accertamento di quanto disposto dal regolamento condominiale, venisse ordinato al Condominio di rimuovere i suddetti contenitori; che fosse inibito il futuro utilizzo del cortile per la sosta di mezzi di trasporto e che il convenuto venisse condannato al risarcimento dei conseguenti danni.

Si costituiva il Condominio contestando la pretesa di controparte e chiedendone il rigetto. Con sentenza del 12 luglio 1999 il Tribunale adito rigettava le domande di parte attrice e la condannava a rimborsare al convenuto le spese di lite.

Proposto gravame dalla soccombente, con sentenza del 6 marzo 2002 la Corte d’appello di Roma rigettava l’impugnazione e condannava l’appellante alle maggiori spese del grado.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione B. R.M. sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso il Condominio.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

Deve preliminarmente darsi atto della nullità della procura al nuovo difensore avv.to Remo Roscioni rilasciata dalla R. in calce ad un atto denominato “memoria ex art. 378 c.p.c. e costituzione di nuovo difensore”, depositata successivamente alla notificazione e al deposito del ricorso, con la conseguenza che non può tenersi conto della designazione di tale nuovo legale nè della documentazione dal predetto allegata al suindicato atto e depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 372 c.p.c..

Invero, per consolidata giurisprudenza di legittimità (vedi tra le tante Cass. S.U. sent. n. 12265/2004, Cass. Sez. 1 ordin. n. 15718/2005, Cass. S.U. ordin. n. 15537/2006) nel giudizio di cassazione la procura speciale non può essere rilasciata a margine o in calce di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, stante il tassativo disposto dell’art. 83 c.p.c., comma 3, che implica la necessaria esclusione dell’utilizzabilità di atti diversi da quelli suindicati; tal che se la procura non è rilasciata contestualmente a tali atti,è necessario il suo conferimento nella forma prevista dal comma 2 del citato articolo, cioè con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, facenti riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata.

Ciò posto, con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1138 e 2697 c.c. e dell’art. 112 c.p.c.; travisamento dei fatti oggetto della controversia;inversione dell’onere della prova; error in procedendo.

Osserva la ricorrente che i giudici del merito, fuorviati dalla difesa del Condominio, avrebbero assegnato rilevanza preponderante ad una delibera condominiale successiva all’introduzione della lite, asserendo che la mancata impugnazione della stessa avrebbe compromesso il diritto di essa R. di sentir accertare e dichiarare quanto previsto nel regolamento di condominio.

La Corte territoriale, inoltre, aveva dichiarato che era onere di essa ricorrente produrre la delibera condominiale invocata da controparte a sostegno della sua tesi difensiva, con ciò operando una palese inversione dell’onere della prova. Entrambi i giudici avevano violato il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato in quanto, senza approfondire l’aspetto relativo alle molteplici violazioni di legge che l’occupazione del cortile con i cassonetti della spazzatura comportava e la correlata evidente lesione di un diritto soggettivo per la sola R., avevano calato le norme regolamentari delle quali si chiedeva l’accertamento in una fattispecie diversa da quella di riferimento, ritenendole norme poste a regolamentazione dell’uso delle cose comuni e non norme di natura cogente nate per consentire il rispetto del vincolo ex L. n. 1089 del 1939, nè norme poste a presidio del diritto soggettivo pieno di ciascun condomino di utilizzare parimenti i beni comuni secondo la specifica destinazione assegnata agli stessi dalle norme di tecnica costruttiva e dalla funzione svolta. Con tale impostazione quindi quei giudici avevano ritenuto che una successiva assemblea potesse chiarire la portata delle regole anche se adottata a maggioranza e non all’unanimità, ed avevano assegnato alla medesima valenza interpretativa della natura delle regole, evidentemente fuorviati dell’illustrazione fornita dal Condominio. Con il secondo mezzo si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 violazione e falsa applicazione degli artt. 1130, 1131, 1137 e 1138 c.c.. Osserva la ricorrente che anche dall’esame della narrativa in fatto l’impugnata sentenza risulta irrazionale, ingiustificata e sostanzialmente priva di motivazione, rivelandosi del tutto fallaci ed erronee le fondamentali premesse logiche della qualificazione giuridica dei fatti e della valutazione giuridica delle loro conseguenze. Sostiene in sostanza che era l’amministratore del Condominio legittimato a far valere in giudizio a norma degli artt. 1130 e 1131 c.c. le norme del regolamento condominiale, soprattutto vertendosi in tema di clausole disciplinanti l’uso delle parti comuni del fabbricato (tanto più se sottoposto a vincolo ex L. n. 1089 del 1939) in quanto volte a tutelare l’interesse generale al decoro, alla tranquillità ed alla abitabilità dell’intero edificio, mentre non poteva essere un’assemblea condominiale, con una deliberazione a maggioranza anzichè, come necessario, all’unanimità, ad imporre una ubicazione dei rifiuti che non solo violava il regolamento contrattuale, ma contrastava anche con la disciplina del codice in materia di condominio e, più in generale, di comunione, poichè di fatto veniva ad imporre un sacrificio, o meglio una grave limitazione dell’uguale e pari diritto di un solo condomino a vantaggio di tutti gli altri che, nella fattispecie, non erano affatto pregiudicati o gravati da quanto deciso, nella stessa misura del condomino danneggiato.

Con il terzo motivo si denuncia, sempre in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 8 del regolamento di Condominio contrattuale e art. 1137 c.c.. Rileva la R. che nel caso di specie le norme regolamentari non prevedevano limiti qualitativi o quantitativi al diritto di comproprietà del cortile,quale sarebbe stata una norma che prevedesse solo il parcheggio di notte o solo il parcheggio di autovetture di piccola cilindrata o ancora il deposito momentaneo di alcuni oggetti. Le norme in discorso contenevano invece la negazione totale di alcune delle facoltà costituenti il contenuto del diritto di proprietà, considerato sia il diverso interesse comune a tutti i comproprietari sicuramente superiore a quello di utilizzare il bene comune a discarica, sia l’importante interesse artistico e storico cui era vincolato lo stabile.

Conseguentemente, le disposizioni adottate dall’assemblea dei condomini non potevano essere prese, come invece era avvenutole non con il consenso di tutti i comproprietari, poichè per tali fattispecie la modifica del regolamento richiamato nei singoli atti di acquisto che incide sul contenuto del diritto soggettivo di comproprietà, deve necessariamente essere approvata da tutti i condomini. E tale circostanza non si era verificata nella fattispecie in esame stante il dissenso di essa R., con conseguente nullità e non annullabilità (come statuito dal giudice d’appello) della delibera condominiale che aveva stabilito la collocazione dei cassonetti nel cortile condominiale.

Con il quarto mezzo si deduce, infine,ancora in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione della L. n. 1089 del 1939 e degli artt. 2, 3 e 3 bis del regolamento d’igiene del Comune di Roma.

Lamenta la ricorrente che sia la peculiarità e pregevolezza dello stabile sia le suindicate norme regolamentari siano state assolutamente evase dalla Corte territoriale o liquidate con motivazione apodittica.

L’esame congiunto dei motivi di ricorso,strettamente connessi,conduce ad una declaratoria di infondatezza della proposta impugnazione per le ragioni che qui di seguito vanno ad esporsi.

E’ opportuno, innanzi tutto, precisare che è stata da tempo abbandonata l’opinione secondo cui sarebbero di natura contrattuale, quale che sia il contenuto delle loro clausole, i regolamenti di condominio predisposti dall’originario proprietario dell’edificio e allegati ai contratti d’acquisto delle singole unità immobiliari, nonchè i regolamenti formati con il consenso unanime di tutti i partecipanti alla comunione edilizia. La giurisprudenza più recente e la dottrina ritengono, invece, che, a determinare la contrattualità dei regolamenti, siano esclusivamente le clausole di essi limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive (divieto di destinare l’immobile a studio radiologico, a circolo ecc.) o comuni, ovvero quelle clausole che attribuiscano ad alcuni condomini dei maggiori diritti rispetto agli altri.

Quindi il regolamento predisposto dall’originario, unico proprietario o dai condomini con consenso totalitario può non avere natura contrattuale se le sue clausole si limitano a disciplinare l’uso dei beni comuni pure se immobili. Conseguentemente, mentre è necessaria l’unanimità dei consensi dei condomini per modificare il regolamento convenzionale, come sopra inteso, avendo questo la medesima efficacia vincolante del contratto, è, invece,sufficiente una deliberazione maggioritaria dell’assemblea dei partecipanti alla comunione per apportare variazioni al regolamento che non abbia tale natura. E poichè solo alcune clausole di un regolamento possono essere di carattere contrattuale, la unanimità dei consensi è richiesta per la modifica di esse e non delle altre clausole per la cui variazione è sufficiente la delibera assembleare adottata con la maggioranza prescritta dall’art. 1136 c.c., comma 2 (vedi Cass. S.U. n. 943/99, Cass. Sez. 2, n. 5626/2002). Nel caso di specie la Corte romana, con motivazione congrua esente da vizi logici e da errori giuridici e pertanto insindacabile nell’attuale sede, ha ritenuto che le disposizioni del regolamento di condominio invocate dalla R. avessero valore regolamentare in quanto attinenti alle modalità d’uso di un cortile interno condominiale senza incidere su diritti ed obblighi dei singoli condomini ed a prescindere da problematiche derivanti da prescrizioni del regolamento d’igiene del Comune di Roma e dall’assoggettamento dell’edificio a vincolo d’interesse storico- artistico.

Pertanto, essendo incontroverso che l’attuale contestata ubicazione dei contenitori della spazzatura (con riguardo alla lamentata utilizzazione del cortile per il parcheggio di motorini e biciclette la R. non ha impugnato la statuizione del giudice d’appello secondo cui su tal punto la medesima avrebbe dovuto agire direttamente contro i singoli condomini che avevano violato il divieto) fu deliberata a maggioranza dall’assemblea (come riconosciuto dalla stessa attuale ricorrente nella comparsa conclusionale di primo grado) e non impugnata dalla dissenziente nei termini di legge, correttamente la Corte territoriale ha statuito (art. 1137 c.c.) che l’intervenuta decadenza ha reso obbligatoria la deliberazione anche per la R. medesima, precludendo l’intervento dell’autorità giudiziaria.

Alla stregua delle svolte argomentazioni il proposto ricorso va respinto mentre ricorrono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2007.

Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2007.